Ultima notte - Filippo Ferrarese
Con un testo di Federica D'Ercole
Sarà stato il cupo scuro del pavimento, la disposizione degli attimi mentre ti guardavo, credo che sia stato questo ad avermi spinto a lasciarti.
Le tende chiedevano perché, mentre riponevi i vestiti nell’armadio in quella stanza che avevamo scelto un tempo e ci costringeva ad ascoltare. Ad ascoltare lo spazio vivo, che ci restituisce ora quell’abitare stanco in cui tutto il nostro essere avrebbe dovuto verificarsi. La fissità degli oggetti mi inchioda di fronte all’impossibilità di fuggire e di sfuggirti.
Questa stanza ha vissuto il nostro tempo, ricordi?
Avevamo scelto la luce così ricurva sugli spazi, negli angoli, i colori, gli arredi, i comodini, le abat-jour in pendant con i muri, i quadri dismessi che avevamo deciso di disporre a nostro piacimento. Lasciamo a questa stanza ciò che siamo stati, il ricordo dei nostri errori, dell’incedere della nostra passione, delle nostre riflessioni sotto quel soffitto, cielo delle nostre notti, del profumo della nostra tenerezza intrappolata tra le fibre di queste coperte, delle nostre abitudini e dei nostri rancori assorbiti dai mobili.
Non ci resta che quest’ultima notte per abbandonarci al passato e alla bellezza sepolcrale degli spazi che abbiamo vissuto.
Domani, il futuro consegnerà i nostri luoghi al prossimo essere che li abiterà. Non resterà altro che questa ragnatela di ricordi, i miei e i tuoi, nelle valigie ormai sul letto, sulle grucce accatastate, sui tappeti arrotolati, come polvere che si posa sulle superfici.
Questa stanza ci aveva donato la sicurezza, la comodità, un rifugio dalle nefandezze quotidiane. I mobili erano i sacri custodi della stanchezza, del disarmo del tempo, degli oggetti preziosi.
Ma lo spazio fa, crea, continua ad abitare ciò che noi smettiamo di abitare, e continuerà a esistere, proprio come noi, sotto nuove suole che lo calpesteranno e tra nuovi corpi che lo riempiranno, nella penombra del nuovo essere che lo occuperà.
Perché lo spazio che viviamo ci abita abitando sé stesso, si nutre di sentimenti, li agita e li stimola, al di là del tempo e del mobilio attonito che alimenta con la sua fissità quell’incredibile illusione di un nostro prolungamento, di una nostra proiezione, di un nostro riflesso sugli oggetti e sulle cose che crediamo che pensino.
Eppure, solo ieri, in questa camera da letto, io ti amavo e tu mi amavi.
Appena un attimo prima di quest’ultima notte.