Saluti da Cervinia - Allegra Martin
Con un testo di Alessandro Benetti
Sulle pagine di una Domus di metà degli anni ‘50 Gio Ponti raccontava le trasformazioni in corso sulla costa ligure, che ribolliva dei cantieri per le case e le infrastrutture del turismo di massa, come l’esito di “quella sorta di violenza realizzatrice che caratterizza le cose d’oggi”. Pochi luoghi hanno subito nei due decenni iniziati con il boom economico cambiamenti tanto radicali quanto le località di villeggiatura. Infiniti frammenti si sono sommati in maniera incrementale formando le colossali volumetrie che hanno cambiato radicalmente la scala di paesi costieri e montani, nello spazio ma anche sul piano culturale, integrandoli in un sistema di circolazione di persone e pratiche da cui prima erano esclusi. Gli effetti di questa crescita urbana repentina sono stati spesso descritti come un disordine, una “macchia d’olio” per gli amanti delle metafore. Visti anche i modi disinvolti con cui si è svolto questo processo, in assenza di qualsiasi coordinamento pubblico, questa lettura è corretta e condivisibile. Un’analisi contemporanea e puramente visuale la può articolare introducendo una distinzione di massima tra centri di mare e di montagna. Nei primi la linea di costa, soglia ambitissima della vista panoramica, ha agito suo malgrado come punto fisso, tracciato ordinatore su cui si sono allineate le costruzioni, oltre che come barriera al loro proliferare oltre di essa – non sempre, perché com’è noto si è costruito anche nel mare. In montagna, invece, le pendenze più o meno ripide, l’esposizione solare più o meno favorevole, la conformazione del suolo più o meno invitante hanno suggerito localizzazioni più libere per gli edifici e limiti più sfumati, negoziabili alla crescita della città. Oggi il paesaggio urbano di una stazione sciistica come Cervinia – e di Sestrière e in misura differente di Livigno e Cortina d’Ampezzo – si presenta a prima vista come il risultato di una valanga o di un’inondazione, come se gli edifici vi fossero precipitati dall’alto o emersi dal basso alla rinfusa, accidentalmente. Si tratta anche di architetture ottime, “pepite” per proseguire con l’immagine fluviale. A Cervinia spiccano l’alpinissimo Rifugio Pirovano di Franco Albini (1948-1952), la moderna e audace Casa del Sole di Carlo Mollino (1947-1955), il serpente sinuoso, brutalista, megastrutturale del complesso “Cielo Alto” di Francesco Dolza e altri (1972-1978), e ancora il condominio “Giomein” (1964-1967) che Mario Galvagni modellò come una riproduzione in scala e caleidoscopica del Cervino, la totemica piramide rocciosa adottata dalla città come fondale scenico ai rituali della villeggiatura. Che si svolgono non tanto in uno spazio pubblico propriamente detto – pavimentato, regolamentato, racchiuso, come in una qualsiasi località di pianura – ma sull’infinito tappeto erboso, roccioso e talvolta boscoso che risale dal fondovalle fino alle vette. Gli edifici sembrano poggiarvisi temporaneamente, come non vi fossero fondamenta; i villeggianti estivi se ne appropriano liberamente, fantasiosamente. Assenza di città o città diversa e immensamente potenziale? Se ne può discutere, ma in fretta, prima che arrivi l’inverno, quando la neve sbianca le contraddizioni e i piccoli cervini costruiti si mimetizzano perfettamente con il loro gigantesco referente alpino.
Allegra Martin vive e lavora a Milano.
Si laurea in Architettura presso l’Università Iuav di Venezia nel 2007.
Partecipa a campagne fotografiche su committenza da parte di Fondazione MAXXI, MiBAC, Fondazione Feltrinelli/MAST, Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea, Osservatorio Fotografico, Istituto Internazionale di Architettura i2A. Nel 2019 è tra i fotografi incaricati di realizzare la campagna sull’architettura contemporanea italiana per il progetto Atlante Architettura Contemporanea commissionato dal MiBAC e dal MUFOCO.
Il suo lavoro è stato esposto in Italia presso la Triennale di Milano, il MAXXI, il Macro, la Biennale di Architettura di Venezia, la Fondazione Forma per la Fotografia, Viasaterna Arte Contemporanea, Linea di Confine, la Fondazione Francesco Fabbri e la Fondazione Bevilacqua La Masa; all’estero presso Die Photographische Sammlung/SK Stiftung Kultur di Colonia, la Galerie f5.6 di Monaco, l’Istituto Italiano di Cultura di Copenhagen, l’Istituto Internazionale di Architettura i2A di Lugano.
Le sue fotografie fanne parte della collezione Donata Pizzi, dell’archivio di Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea, della collezione del Museo di Fotografia Contemporanea Mufoco, dell’ICCD Istituto Centrale Catalogo Documentazione e del MAXXI di Roma.
Tra le sue pubblicazioni: “Jobs. Forme e spazi del lavoro” (Quodlibet, 2022), “Mille case per Bologna” (Quodlibet, 2021) “Salento Moderno“(Humboldt Books), “Lido”(Osservatorio Fotografico), Double Bind (Quinlan), “Red desert now!” (Linea di Confine).
Dal 2020 è docente a contratto presso la Facoltà di Design del Politecnico di Milano.