Ravenna industria - Danilo Fabbroni

Ravenna: Dante o old-economy?

Recentemente, “Il Sole 24 ore” pubblicava un articolo sul perdurare di certe convenzioni che si sedimentano nell’Io di ognuno: come consuetudine si potrebbe dire che Ravenna sia l’eponimo di Dante e viceversa, sebbene non solo questo. In quell’ “altro” viene spontaneo collocare i parafernalia che costituiscono la “dote” che Ravenna-città storica si porta appresso: gli onnipresenti mosaici, l’Impero Romano d’Occidente, Teodorico il Grande, la longa manus del Pontefice, sino a giorni relativamente più vicini a noi, George Byron, e chi più ne ha più ne metta. Ma c’è un ma, ed è quello che si incarna nella vocazione per certi versi levantina di Ravenna versata verso gli scambi commerciali come del resto è consueto per ogni città portuale che si rispetti. È proprio di questo versante il polo magnetico che ci attrae e cioè quello di documentare un aspetto meno sublime e dunque meno noto della città-Ravenna: il suo lato industriale. Lato industriale, si noti bene, che è un ossimoro, in quanto è anch’esso, se si vuole, “classicissimo” visto che è prevalentemente costituito da soggetti operanti nella old-economy, quindi confina e sconfina sino alla contraddizione più netta colla Ravenna dell’Arte dimostrando che una coesistenza pacifica tra il diavolo e l’acqua santa è possibile. Perlomeno a Ravenna.