L'architettura religiosa di Gio Ponti - Alba Deangelis

Il mio legame con l’architettura religiosa di Gio Ponti ha avuto origine nella mia terra natia, la Puglia. La prima visita alla Concattedrale di Taranto risale al 2017, dopo appena qualche mese dall’inizio della mia attività fotografica. Il passaggio dalla nordica luce diffusa di Aalto a Bologna ai colorati contrasti mediterranei mi mise in non poca difficoltà.

Da quel momento, in una sorta di rito sempre più personale, non ho mai smesso di visitare, per commissioni e non, tutti gli edifici di culto progettati dall’architetto; la messa a sistema mi ha aiutata a comprendere appieno la sua esperienza progettuale con ‘l’architettura religiosa’, come da lui stesso definita. Ho da subito pensato che l’aspetto più poetico di queste architetture non fosse apprezzabile dai testi letti durante gli studi. Tanto più che la figlia Lisa scrive: “la chiesa ha per lui un grado di felicità in più della casa”.

L’edificio è come un essere vivente; più tempo lo si osserva e meglio se ne comprendono personalità e tratti, sia fisici che caratteriali. Come può la velocità dei nostri tempi permetterci di fare un’esperienza completa e totalizzante della poesia di determinati spazi? La mia indagine ha iniziato a coincidere volutamente con la ricerca di una lentezza meditativa, sicuramente indirizzata dalla stessa architettura creata da Ponti. E non è forse anche così che l’architetto avrebbe voluto che fossero vissuti i suoi templi, che potessero avvicinare a qualcosa di “altro” anche chi, come me, non segue uno specifico credo religioso? Con il passare del tempo è stato quindi il processo stesso a prendere importanza in questa lettura, tanto più che per me si è fatto anche testimonianza dell’evoluzione della mia stessa opera fotografica, in concomitanza con la sua opera architettonica. 

E parlando della fotografia, questo ripetuto e continuo pellegrinaggio nei templi pontiani coincide con una necessità di distacco nei confronti delle logiche dei social media che assecondano oggi una fruizione veloce e modaiola di immagini ed edifici, oltre che delle persone. Apprezzare e trovare del nuovo e dello straordinario anche nelle cose già viste diventa così un esercizio rivoluzionario, in un mondo sempre più superficiale, devoto al consumismo e all’esperienza usa e getta.  

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Alba Deangelis (1988), è una fotografa che utilizza l’architettura come soggetto della sua produzione artistica. Nata e cresciuta in Puglia, si sposta a Milano nel 2007 per studiare architettura, scoprendo così la fotografia nelle aule del Politecnico di Milano. Fortemente influenzata dal cambio ambientale e culturale, inizia ad utilizzare la fotocamera per dare ordine a caos emotivo e visivo. Attraverso un processo di astrazione, il suo lavoro si focalizza su particolari aspetti di uno spazio, isolandone porzioni e facendone un tutt’uno con memorie ed emozioni. Tra le sue principali ricerche, l’ipercittà e gli spazi sacri. Autodidatta, lavora dal 2017 con privati, case editrici e riviste italiane e internazionali.

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