A-dimensionale - Sergio Sannasardo
Con un testo di Davide Gianluca Abbate
Il voler racchiudere in un unico fotogramma un insieme di suggestioni visive è l’intenzione principale che il fotografo persegue servendosi del suo strumento per eccellenza: lo sguardo. Egli percorre i luoghi del vissuto urbano, catturando gli scenari che più colpiscono la sua sensibilità cercando di enfatizzarne i caratteri più significativi.
Quando si sosta ad osservare un luogo, si assiste vigili all’imponderabile, pronti a cogliere ciò che non era atteso ma che si riconosce, nel momento in cui si rivela, come quel che si stava cercando.
La scelta ragionata di vari elementi, colti in esatti istanti di tempo, non è soltanto il risultato di una progettualità preordinata, ma contempla al suo interno anche un irriducibile principio di casualità.
Lo spazio, dunque, sotto al gioco della luce rivela le sue forme e diventa strumento compositivo attraverso il quale il fotografo opera un processo di selezione tra quello che s’intende mostrare e ciò che si sceglie di omettere. Egli così astrae e smarrisce ogni altro indice di grandezza, conferendo alle architetture una continuità indefinita otre il taglio della fotografia.
Solo all’elemento umano, qualora si scelga di ritrarlo dentro alla scena, è concesso il ruolo di unità di grandezza all’interno di un ritaglio in apparenza slegato da qualsiasi limite e dimensione. L’uomo diviene così misura e proporzione dell’ambiente in cui si muove, collaborando inconsapevolmente a generare una tensione tra figura e sfondo che permane irrisolta ai margini dell’inquadratura.