Vis Montium - Jacopo Valentini
Ubique et collecta
Con un testo di Marina Montresor
Cos’hanno in comune una montagna, una forma di formaggio, il muro del Cremlino, una gola rocciosa, un corallo in una bacheca polverosa a Reggio Emilia, la casa studio di Konstantin Melnikov e Strombolicchio? Probabilmente niente. Il formaggio sotto un leggero telo di cotone bianco può forse evocare una montagna (in effetti non sembra nemmeno un formaggio, e la sua identificazione ci è consentita solo grazie alla didascalia). La gola rocciosa potrebbe essere ovunque, e se non si è mai stati a Mosca il muro del Cremlino – con quegli strani merli e gli alberi stagliati contro il cielo azzurro – potrebbe essere ad Anahaim in California, a Disneyland. Quanto ai coralli, la loro connessione con la Pietra di Bismantova – un enorme rilievo delle colline reggiane, impossibile da ignorare per via della sua peculiare conformazione geologica e ad immagine del quale si dice Dante abbia modellato il monte del Purgatorio – rimane sicuramente misteriosa. Tuttavia è proprio la Pietra di Bismantova, il mons a cui fa riferimento il titolo della serie di Jacopo Valentini, ad esercitare una forza, vis, non tanto fisica come il termine latino suggerirebbe, quanto evocativa, immaginifica.
La prima cosa a venire meno guardando le fotografie che compongono vis montium è il concetto stesso di serie. Le immagini appaiono unite da una logica talvolta formale, talvolta materiale, talvolta di scala: il minimo comune denominatore è l’assenza di un minimo comune denominatore. Nonostante ciò, ogni volta che le fotografie vengono disposte l’una vicina all’altra – collezionate nel senso letterale del termine – è inevitabile trarne libere associazioni, anche molto personali, riordinando e aggiornando la collezione in una delle sue infinite possibili configurazioni.
Il mondo del potenziale, delle connessioni inattese, è lo spazio di azione di Valentini, le cui associazioni potrebbero moltiplicarsi ad infinitum, e infatti la serie è non finita per decisione oltre che per necessità. La critica implicita in questo modus operandi è rivolta alla saturazione di immagini del nostro tempo – iper-fotografato, geolocalizzato, ottimizzabile e categorizzato. Al contrario, il cosmo rarefatto di Vis Montium si compone di oggetti spesso inspiegabili, accuratamente selezionati attraverso una logica deliberatamente non oggettiva, sottoposti ad una gravità aumentata: la maggior parte delle foto è scattata leggermente dall’alto, il piano d’appoggio enfatizzato, l’orizzonte artificialmente centrato o leggermente elevato – come in 3 Godfathers di Sergio Leone quando il cowboy morto giace su un terreno infinito, il cui orizzonte è al limite superiore dell’immagine. È un terreno la cui forza di attrazione gravitazionale è decuplicata, dal quale non ci si può (più) muovere. C’è un libro di Alexandre Koyré che come sempre ho comprato e non ho letto, ma il cui titolo mi torna sempre in mente: Dal Mondo del Pressappoco all’Universo della Precisione. Attraverso l’incessante produzione, selezione e riordine delle immagini mi sembra che questo sia il l’obiettivo verso cui tende, pur vendendone l’impossibilità, Vis Montium
Jacopo Valentini (b.1990) vive tra Modena e Milano.
Nel 2017 consegue due lauree presso due diverse università: il Master in Architettura / Accademia di Architettura di Mendrisio (CH) ed il Master in Photography / IUAV di Venezia (con lode), sotto la supervisione dell’artista Stefano Graziani.
I suoi lavori sono presenti in: Regione Emilia Romagna – IBC Emilia Romagna, Galleria Civica di Modena-FMAV, Palazzo Rasponi II di Ravenna, Fondazione Ragghianti di Lucca, Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, MUfoco di Milano, Regione Liguria e Collezione della Farnesina.
Sta lavorando a un progetto di ricerca personale sul dislocamento territoriale all’interno dell’immaginario comune.